Caffè di notte

”I giorni che torno a casa con uno studio, mi dico se fosse così tutti i giorni, potrebbe andare, ma i giorni che si torna senza niente e che si mangia, si dorme e si spende lo stesso, ci si sente degli idioti, dei birbanti, delle vecchie pellacce. ”

foto quadro alla parete

Tre notti impiegò Vincent a dipingere questo capolavoro che tuona giudizi ad ogni angolo della tela.  Tre notti lunghissime di Settembre, ad Arles faceva ancora caldo. Di giorno si faticava a respirare e il vento caldo che spirava dal mare asciugava a malapena il sudore dalla fronte. Decise di rappresentare il dolore, i sensi di colpa che lo tormentavano certe notti che non riusciva a dormire, quando in preda all’ansia, usciva di casa e si recava al Caffè. In quei momenti di improduttività e abbandono, il suo status di pittore squattrinato e mantenuto, confinava agli angoli della disperazione la propria autostima e dava vita ad un profondo stillicidio autoreferenziale.

Così qui i colori sono come pugni negli occhi, accesi e violenti. L’atmosfera è cupa, rassegnata, colpevole. Il tempo trascorre senza speranza, senza redenzione. Si percepisce un acre odore di chiuso misto a vino evaporare dalle pareti rosso sangue e uno stantio senso di vuoto emergere dal soffitto verde. Le pennellate veloci e profonde rimarcano il giudizio che pesa su Vincent come fosse una sentenza.

Un giudizio che egli stesso si decreta. Si identifica con un successo che non arriva e pesa come un macigno. Non c’era modo più efficace per circoscrivere e dimenticare questi sentimenti se non quello di rappresentarli in un’opera, prenderne le distanze, impiegare 72 ore consecutive a completare questo lavoro, senza mangiare né riposare. Quasi a volersi punire e pentirsi di essere vulnerabile come tutti.

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Le passioni umane qui vengono caricaturizzate al fine di esorcizzarle, deriderle, reprimerle. Non mancano segni di speranza e distensione, che sono abbandonati all’immagine generale di angoscia che quest’opera vuole trasmettere. Il quadro con i girasoli gialli è li appeso alla parete, quasi a testimoniare le due facce della stessa medaglia, a rivendicare il perdono all’occhio di un osservatore severo e giudicante. Il mazzo di fiori infondo alla stanza trasmette una luce che proviene dalla natura, pubblicamente riconosciuta come una bellezza infinita e pura; è incastonata senza apparente senso in un ambiente illuminato esclusivamente da pesanti lampadari che piombano sui colpevoli come facevano le torce dei gendarmi sui ladri colti in flagrante.

La disperazione umana è inammissibile qui e viene messa in bella vista alla mercé di tutti. L’uomo si copre il volto e si intuisce che piange. Non una, ma tre bottiglie di vino riempiono il tavolino dove è seduto. Si copre il volto dalla vergogna.

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I protagonisti ed in primis il pittore, non hanno il coraggio di accettarsi vulnerabili, e per questo meritano di essere rappresentati di notte all’interno di un locale cosi buio e sudicio, in preda alla più totale perdizione.

Questo è senza dubbio uno dei quadri più cupi e autentici di Vincent. Con quest’opera è riuscito a guardarsi dentro e a rappresentare il suo stato d’animo più bieco e giudicante. Non ha coperto di pennellate colorate quel senso di colpa, stavolta è andato dritto al punto.

La critica artistica, i colleghi pittori, come lo vedevano? quanto pesava sulla propria autostima quel pensiero, quel giudizio degli altri? Perché era cosi sbagliato disperarsi, perché un caffè doveva per forza essere presentato come una sudicia bettola? Quanto quel sé ideale che Vincent si era prefisso di essere e faticava a raggiungere ha condizionato la sua pittura nel corso degli anni portandolo a diventare il pittore per eccellenza del ”giallo” e dei colori luminosi?

”Io penso spesso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno.”

 

Pubblicato da Francesco

''Viaggiare per non smettere mai di conoscersi''

Una opinione su "Caffè di notte"

  1. Nella vita di tutti esistono momenti di “rattrappimento” interiore o sociale. Ma non per tutti la coscienza di sé ha una sola voce. Quanti di noi sorvolano? Quanti di noi non affrontano “a pennellate di luce” la propria vita , chiudendosi al mondo per guardarsi meglio dentro? Vincent aveva fiducia in se stesso. Sperava, si riprometteva, sapeva che prima o poi il mondo si sarebbe accorto di lui. Ed è successo. Il tempo, come sempre impassibile ma attentissimo e paziente, ha vinto. E non conta che il protagonista abbia sofferto o non l’abbia vissuto in contemporanea. Quel che importa è l’assoluto della bellezza. Poche anime possono permetterselo. Bellissima analisi . Grazie.

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