I fiori sbocciano prestissimo a Arles. La primavera brucia le tappe e impaziente si lascia ammirare in tutta la sua bellezza senza aspettare il 21 di Marzo.

Van Gogh cammina naso all’insù ogni mattina. A bocca aperta ammira il miracolo della Natura, della sua Natura, tanto ricercata, attesa e agognata. Una Natura capace di sorprenderlo il colorista che non pensava ancora di essere quando con aria annoiata si aggirava per la steppa olandese immerso in quel grigiore tipico del Nord.

Il suo personale Giappone era così vicino, a circa 15 ore di treno da Parigi. E mentre in Rue Lepic, a Montmartre, ordinava per posta e collezionava stampe giapponesi di ogni genere per placare la fame di arte orientale e cercare anche di venderle a un prezzo maggiorato, sentiva nelle ossa che il suo destino sarebbe stato quello di raggiungere fisicamente, con il supporto di ogni suo senso, il suo Giappone.

A Arles Van Gogh soverchia ogni precedente certezza. Si abbandona all’estro più libero, ricerca l’esagerazione nella Natura, nei colori. Lo ammette lui stesso :
Picchio sulla tela a tocchi irregolari, che lascio come sono. Degli impasti, delle parti di tela non coperte di qui e di là, degli angoli che lascio assolutamente non finiti, dei rifacimenti, dei brutalismi: insomma il risultato, sono propenso a credere, è inquietante e irritante quanto basta per scontentare quanti hanno idee preconcette sulla tecnica.
9 Aprile 1888, lettera a Emile Bernard.
E a furia di picchiare sulla tela come fosse una specie di pittore scultore, i suoi incredibili alberi carichi di fiori prendono forma e colore con crescente convinzione e meraviglia.
Nel bel mezzo di quelle infinite distese verde, insieme ai fiori anche la sua migliore versione di artista sboccia improvvisamente. Van Gogh si appresta a ritrarre quei paesaggi con la stessa sensibilità e passione con la quale dipingeva i minatori del Borinage oppure i celeberrimi Mangiatori di patate.
Paesaggi come fossero persone. Sotto il sole torrido di Arles.

E dipinge come un forsennato, senza tregua, consapevole che l’impeto non sarebbe durato per sempre e avrebbe prestato il fianco nuovamente ai vizi come l’assenzio oppure alla mancanza d’ispirazione.
Ho in corso 9 frutteti: uno bianco, uno rosa quasi rosso, uno bianco-azzurro, uno rosa-grigio, uno verde e rosa. Ieri ne ho buttato giù un ciliegio contro un cielo azzurro, i germogli delle foglie erano arancione e oro, i ciuffi di fiori bianchi, questo contro l’azzurro verde del cielo era proprio magnifico.
21 aprile 1888, lettera a Emile Bernard.
I fiori lo avvicinano all’eternità. Nel transitorio ripetersi del miracolo della natura che ciclicamente nasce per morire e rinascere ancora, Vincent van Gogh insegue l’attimo eterno che lo riappacifichi con quel perenne sentimento d’inquietudine e gli consenta di lenire solitudine e desolazione, cristallizzando su tela quel momento unico che non sarà mai più lo stesso.

I frutteti che dipinge in brevissimo tempo a Arles non sono i primi soggetti che Van Gogh dipinge in serie. Era già capitato in passato, agli esordi della sua carriera di artista e ricapiterà dopo gli alberi da frutta, che il pittore si affezionasse a un tema e lo dipingesse strenuamente, con pazienza e dedizione, più e più volte.
Nel prossimo articolo vi porterò a Nuenen dove Van Gogh visse dal 1883 al 1885 e dipinse in serie le teste di contadini, preparandosi poi a realizzare il quadro straordinario dei Mangiatori di patate.
Meravigliosa questa presentazione di pittore scultore! Bellissima la scelta dei quadri! Grazie, bravo!
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